Mercato Laurentino

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icona alimentareicona abbigliamentoIl mercato Laurentino è stato costruito verso la fine degli anni Ottanta quando un gruppo di operatori decise di partecipare ad un bando di concorso, indetto dal Comune di Roma, per l’assegnazione di posteggi nei nuovi plateatici attrezzati costruiti in diverse località periferiche della città tra cui proprio il Mercato Laurentino, ultimo avamposto sull’omonima via prima del Raccordo Anulare Sud.

 

Tra i banchi del mercato

Oggi il mercato si presenta come un piccolo centro commerciale in tutto simile a Casilino 23, dove le attività tradizionali del mercato alimentare pur rimanendo hanno fatto posto a vari servizi. 
In comune i due mercati hanno la struttura coperta grazie a una tettoia in plexiglass che da un paio di anni protegge dall'intemperie e la scelta di comunicare con la propria clientela attraverso il sito Internet e la pagina Facebook. Una sessantina di operatori che spaziano dagli eredi di quello che era il più aziano 7coltivatore diretto d'Italia Quinto, il figlio Marco e la nipote Beatrice, al nuovo banco dedicato al biologico (Habemus Bio) dal parrucchiere uomo e donna di Loretta e Annarita ai banchi di pesce (alcuni anche con la propria barca ad Anzio), dall'erboristeria di Rita alla lavanderia e sartoria di Cornelia, dalla profumeria con anche ricostruzione delle unghie di Alessandra agli alimentari regionali come L'isola dei sapori antichi che fa arrivare tutte le settimane i prodotti dalla Sardegna, e poi ancora macellai, il fornaio, la pasta all'uovo, l'abbigliamento per adulti e bambini, i surgelati, i casalinghi e una merceria. 
“Chi viene da noi, clientela giovane e più matura, può veramente fare una spesa completa - spiega Mimmo detto Zio Faraone per le sue origini egiziane – le persone vengono al mercato per far la spesa ma poi lasciano le scarpe dal calzolaio, prenotano dal parrucchiere e finiscono nella mia agenzia di multiservizi che fa veramente di tutto: dal rinnovo della patente al pronto intervento di fabbro, falegname e idraulico, prenotazioni viaggi o anche solo il pagamento in posta delle bollette o la ricarica del cellulare”. 
6Secondo Mimmo, vicepresidente del mercato, il mercato sta tornando di moda anche tra i giovani perché “se riesce ad offrire dei veri servizi risulta veramente a portata di mano, presto qui accanto a noi costruiranno uno dei centri commerciali più grandi di Europa, ma io non sono per nulla preoccupato perché se loro rappresentano il futuro, noi rappresentiamo la storia. Tra i servizi che offre il mercato anche la possibilità per i disabili di andare al mercato grazie ad un pulmino messo a disposizione di alcuni sponsor nonché di poter fare la spesa on line con tanto di consegna a domicilio gratuita un giorno la settimana per i disabili e gli anziani. Tra gli atout del mercato anche la casetta dell'Acea, una fontanella hi-tech che eroga gratuitamente acqua fresca, naturale o frizzante, oltre a consentire di ricaricare cellulari e tablet grazie ad apposite porte usb. Acqua del sindaco gratis e pure elettricità.

Nel paese di Alice

"Quando sono stata al mercato Laurentino ho conosciuto un tipo veramente simpatico. Si chiama 14Zio Faraone. O almeno così mi ha detto lui. A me sembra un po' strano ma lui  si è presentato così e mi ha anche dato un bigliettino dove c'è disegnata la testa di una sfinge. Io so cosa è una sfinge e so anche cos'è un faraone. L'ho letto su un libro che parla degli egiziani ma non quelli di oggi, quelli di tanto tempo fa. E anche se questo Zio Faraone è un tipo simpatico e so che organizza viaggi in tutto il mondo, dalla Thailandia alla Costiera Amalfitana, non credo che possa organizzare un viaggio nel tempo e anche se continuo a chiamarlo Zio Faraone io lo so che in realtà si chiama Mimmo. Però dall'Egitto ci viene per davvero ma non quello di tanto tempo fa. Quello di oggi".

 

Quattro passi più in là

La prima cosa da vedere fuori dal mercato Laurentino è il quartiere. Intendiamoci, qui i pullman di turisti difficilmente pianificheranno una sosta lungo i loro itinerari. Anzi. Si può dire, senza offesa per nessuno, che la storia del LAURENTINO 38 sia una storia sbagliata. A cominciare dal nome, con quel numero nato dalla scarsa fantasia di grigi burocrati, ma che nei difficili anni '70 poteva accendere fantasie ben più nere: 38 non era altro che il numero del piano di zona, ma richiamava alla mente con immediata e involontaria analogia il piombo delle P38, le famigerate semi-automatiche talvolta usate dai gruppi terroristici. Inizia così da un battesimo sfortunato, la storia del quartiere Laurentino, e si sviluppa intorno a un'infelice utopia, in parallelo con quella del suo cugino e coetaneo Corviale. Due quartieri nati sullo slancio delle teorie urbanistiche del Nord Europa, dall'idea anche nobile di creare in periferia microcosmi autosufficienti dotati di tutti i servizi e non soltanto giganteschi dormitori. Ma qui siamo a Sud di Roma, e trapiantare un cuore scandinavo nel corpaccione della Capitale, infestato da molti virus (burocrazia su tutti) ha provocato un rigetto. Il quartiere è stato avvertito come un corpo estraneo alla città, tanto da subire un'onta per i romani intollerabile: nei primi anni '80 più di un regista ha utilizzato i suoi palazzi per fare da sfondo a scene ambientate nell'hinterland milanese! (Solo un allievo di Pasolini come Sergio Citti poteva restituire a questa anonima periferia tutta la sua dignità e romanità, scegliendo le sue vie come punto di partenza del viaggio picaresco de “Il minestrone”). E allora perché fare quattro passi in questo quartiere? Perché, nonostante i suoi problemi, agli occhi degli appassionati camminatori di città il Laurentino – con i suoi oltre 5mila alloggi e gli oltre 30mila abitanti – rappresenta comunque la testimonianza storica e viva del tentativo di risolvere il monumentale rompicapo di ogni metropoli in incontrollabile espansione. Non importa che Colombo avesse sbagliato tutti i calcoli e non fosse mai giunto nelle Indie: il racconto della sua navigazione non sarà per questo meno appassionante.
Nel racconto del Laurentino ci sono dei punti esclamativi che sono al tempo stesso le architetture simbolo del progetto e il simbolo della sua sconfitta: i famigerati PONTI. Le strutture sospese, nate per collegare le insulae abitative e ospitare i servizi per la comunità (negozi, uffici, centri di aggregazione sociale), e ben presto diventati preda di occupazioni abusive e ricettacoli di criminalità. Degli 11 ponti originari, 3 sono stati demoliti con tanto di celebrazione pubblica, come a suggellare il fallimento del piano originario e a voler suggerire la speranza di un riscossa. Una riscossa che passa anche per il mercato, così come per ogni luogo dove i suoi abitanti si possano ritrovare insieme, scambiare quattro chiacchiere, sentirsi parte di una comunità.
Ma dobbiamo ammetterlo, se non siete appassionati di urbanistica vi ci vorranno più di quattro passi (e almeno un autobus) per soddisfare le vostre curiosità storiche e artistiche. L'asse è sempre quello della via Laurentina, la bussola indica il Nord, la ricompensa si trova all'ombra degli Eucalipti: benvenuti del complesso dell'ABBAZIA DELLE TRE FONTANE. E' qui che secondo la tradizione l'apostolo Paolo ha trascorso la sua ultima prigionia (tra le tante accuse, l'imperatore Nerone non gli aveva perdonato di aver convertito al cristianesimo il suo coppiere e la sua concubina: in un colpo solo, un oltraggio a Bacco e Venere!) ed era stato infine decapitato. Il nome del luogo deriva dalle tre fontane – una d'acqua calda, una tiepida e una fredda – che sarebbero sgorgate a ogni rimbalzo in terra della testa del santo. Le fontane sono tuttora conservate in tre edicole a nicchia nella chiesa che porta il nome dell'apostolo. Qui si trova anche la colonna alla quale era stato legato Paolo per la sua esecuzione. Anche per i non credenti, il luogo rappresenta un invito al silenzio e alla contemplazione. Ma per i gaudenti, i monaci che gestiscono l'abbazia hanno in serbo saporite sorprese: gli eucalipti che i stessi trappisti avevano piantato – su invito di Papa Pio IX – per bonificare la zona dalla malaria in cambio della concessione dei terreni, oggi sono l'ingrediente di un liquore in vendita presso lo spaccio dell'abbazia. E qui potete sbizzarrirvi in un supplementeo di spesa: perché l'olio, il miele, la cioccolata, la birra, la crema di nocciola, la grappa prodotte dagli operosi monaci non le trovate in nessun altro mercato. Del resto, la zona aveva una solida tradizione “alcolica”: quando era ancora gestita dai cistercensi, un benefattore aveva elargito una munifica donazione a patto che i monaci, ogni anno il 22 gennaio, distribuissero “quattro panetti e due grandi mestolate di vino” ai bisognosi che si fossero presentati alle Tre Fontane. Un'usanza andata avanti per quasi due secoli, fino a quando i tumulti causati dalla moltitudine di beoni (all'appuntamento si presentavano anche in 2mila) non indusse il Vaticano a “dirottare” la donazione a una più sobria congregazione di zitelle.
Attraversata la strada, sotto gli stessi eucalipti, la curiosità potrebbe spingervi a fare una breve sosta in quella sorta di piccola “Medjugorje romana” che è la CAPPELLA DELLA VERGINE DELLA RIVELAZIONE. Perché il paragone con Medjugorje? Perché si parla di apparizioni della Madonna, ma anche perché queste non sono state riconosciute dalla Chiesa cattolica. L'inizio di questa storia ha luogo nell'Italia del Secondo Dopoguerra. Il 12 aprile del 1947 Bruno Cornacchiola – tramviere protestante, ex combattente della guerra civile spagnola sul fronte repubblicano, fervente anticattolico – rincorrendo i figli piccoli, entra in una delle grotte scavate nella collina e si ritrova al cospetto di una signora dal lungo abito bianco, coperto da un lungo mantello verde e cinto in vita da una fascia rosso pallido. La donna si presenta come la “Vergine della Redenzione”, gli rinfaccia le passate persecuzioni e gli preconizza un futuro di salvezza. L'uomo si converte, e racconta a tutti la propria conversione: in poco tempo nella grotta viene posta una statua della Madonna, il luogo diventa meta di pellegrinaggio, testimoni raccontano nuove apparizioni e improvvise guarigioni. Da tempo non si ha più notizia di eventi miracolosi, ma la cappella resta una preziosa testimonianza di devozione popolare, e un piccolo souvenir di un'Italia che forse non c'è più. Per avere un'idea del valore e della risonanza della prima apparizione, bisogna innanzitutto ricordare che questa è avvenuta esattamente a un anno dalle cruciali elezioni del 1948. E' in quel clima politico e sociale poteva capitare che i tre colori delle vesti di Maria fossero interpretati – seguendo il racconto di un'altra mistica, la veggente Maria Valtorta - come una benedizione del Tricolore e della Patria, minacciata dallo spettro del comunismo. Un'altra Italia, appunto.

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SITO Numero verde: 800 612332 / Tel.: 06 5011893
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