Mercato Flaminio II

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icona-alimentareIl mercato Flaminio II (così denominato per distinguerlo da quello, sempre coperto, di via Flaminia) è una struttura che risale al 1954 dove confluirono due mercati all'aperto, quelli di via Antonello e di via Donatello. Dopo quasi sessant'anni sono rimasti una sessantina di operatori (a fronte della settantina prevista), da considerare un successo visto la crisi che vivono i mercati rionali e le difficoltà in cui sopravvivono i "bancaroli".

Tra i banchi del mercato

08"Il nostro è un mercato molto operativo – spiega Dario, da dieci anni dietro al suo banco di detersivi e articoli per la casa – Nonostante siamo in un punto di passaggio con il Foro italico e il nuovo quartiere delle arti con l'Auditorium di Renzo Piano e il MAXXI di Zahaa Hadid è poco conosciuto all'esterno del quartiere. Però va detto che i "locali" sono molto attenti".
Passeggiando infatti sotto le volte in cemento armato del mercato di via Guido Reni, l'atmosfera è molto vivace e l'offerta veramente ampia. Oltre ai classici banchi di frutta e verdura (presenti anche i coltivatori diretti), le pizzicherie, le macellerie (tra cui 'Il piacere delle carni' di Roberto e Leandro, figlio di Annibale, titolare della antica macelleria di via di Ripetta), i pescivendoli, incontriamo il piccolo "supermercato" alimentare di Andrea e Alessandra, un calzolaio che lavora sul posto, lo spazio dedicato a cibi biologici (dal tofu alla pasta di kamut), il "banco" 'Le fantasie di casa', con l'abbigliamento per signora, 'La bottega del tappezziere', un grandissimo banco di salumi, formaggi e pane ('L'angolo del buongustaio' di Moreno e Loris che è anche presidente dell'Associazione che gestisce il mercato). Tra i banchi di frutta e verdura vanno ricordati, tra gli altri, quello di Loriana che propone dei preparati gustosi solo da mettere in padella (carciofi, funghi, asparagi e pomodorini per un contorno sfizioso oppure un sugo per la pasta); quello di Maurizio che accanto ad una selezione di frutta esotica propone una vera e propria enoteca e infine il banco di Lorenzo, coltivatore diretto, al mercato Flaminio dal 1958.05
"Ormai sono rimasto quasi solo io che coltivo e vendo i miei prodotti, mentre quando avevo sei o sette anni e venivo con mio padre da Castelnuovo di Porto eravamo almeno una decina, a fronte di un mercato magari con banchi più piccoli, ma con un centinaio di commercianti. Ora la struttura è rimasta al Comune, ma la gestiamo noi così possiamo organizzare direttamente le pulizie, gli orari d'apertura. Prima per poter scaricare prima delle sette toccava dare la mancetta al messo comunale".
Nel futuro ci sarebbe un progetto di ristrutturazione e la richiesta di avere la struttura in concessione per 99 anni.

Il paese di Alice

"Quando sono stata al mercato Flaminio di via Guido Reni era il sabato di Pasqua. Tutti erano molto indaffarati, i commercianti a vendere, i clienti ad acquistare e c'era una bella atmosfera festosa. Naturalmente c'erano le uova, le colombe e l'abbacchio. Che mia mamma mi ha spiegato è un agnello che già si sa che finirà in pentola.12
Un po' mi spiace per lui però è molto buono con le patate al forno.
Il mercato Flaminio mi è piaciuto molto perché c'è veramente di tutto. Ma quello che non mi dimenticherò mai è un signore che è stato tutto il tempo chino su un paio di scarpe. Ogni tanto gli dava un colpo con un martello o tagliava un pezzo di pelle troppo grande. Ero ipnotizzata dal suo lavoro, dalle sue mani e dal martello. Forse da grande farò il calzolaio".

Quattro passi più in là

Passeggiare nei dintorni del mercato di via Guido Reni, un'area un tempo adibita a ospitare caserme, è addentrarsi nel più convinto tentativo della città di rifarsi il trucco e aprirsi all'architettura contemporanea.
maxxiE così, tra le polemiche di chi forse preferisce che Roma continui a specchiarsi solo e soltanto nello splendore delle sue antiche vestigia e dei suoi capolavori barocchi, in questo quartiere è sorto un "polo dell'arte" che vede proprio in un'ex caserma il suo esempio più radicale (e contestato): il MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Con le sue linee sinuose distribuite su tre livelli e le scale e le curve che invitano ad esplorarne i percorsi, la struttura, progettata dall'architetto anglo-iraniana Zaha Hadid, vale di per sé la visita. Ma paradossalmente, è proprio questa la critica più diffusa: in molti hanno parlato di un contenitore poco funzionale a esporre opere, un edificio pensato più per auto-celebrare il proprio ideatore che per ospitare le realizzazioni di altri. Ma alzi la mano chi saprebbe citare a memoria qualche opera della collezione del Guggenheim di Bilbao, o chi è volato fin lì per vedere un quadro in particolare e non invece il museo progettato da Frank Gehry? Certo, si può obiettare che – a differenza della città basca – Roma non ha bisogno di un'archistar per adescare turisti, ma troppo spesso questo tipo di obiezione è servita per respingere ogni novità. E allora vale davvero la pena almeno affacciarsi, per apprezzare uno spazio pubblico restituito al quartiere e in grado di dialogare armoniosamente con le strade e i palazzi circostanti: almeno su questo punto, il consenso sembra essere quasi unanime.

parcomusicaMa l'apripista di questa nuova vocazione del quartiere è senz'altro l'AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA di Renzo Piano. Con l'opera dell'architetto genovese – la sua prima firma su Roma – la capitale è finalmente riuscita a dare un tetto fisso alle sette note, per quasi settant'anni sballottate e sfrattate da una sala all'altra. Tanto per avere un'idea, il primo bando di concorso per il "nuovo" auditorium risale al 1934: doveva sorgere tra il Circo Massimo e le Terme di Caracalla, dove oggi troneggia il palazzo della FAO. Niente di fatto. E così, le orchestre hanno vagato dall'Augusteo (teatro ricavato dalle rovine del Mausoleo di Augusto!) al Teatro (oggi cinema multisala) Adriano, per poi appoggiarsi al Teatro Argentina e finire "parcheggiato" in via della Conciliazione nel 1950, anno in cui viene indetto un nuovo concorso. Zona scelta: piazzale Flaminio. Risultato: nuovo buco nell'acqua. La svolta negli anni '90, con il concorso internazionale vinto da Renzo Piano. Il segno caratteristico sono le tre sale da concerto ricoperte da una corazza in piombo che le fa sembrare tre grandi scarabei (o "bacarozzi", per dirlo alla romana). In realtà, nell'intenzione del loro creatore, la forma doveva ricordare piuttosto tre liuti rovesciati: d'altronde è lo stesso Piano ad aver paragonato la realizzazione di una sala per concerti al lavoro di un liutaio. Sta di fatto che i romani hanno dimostrato di apprezzare la pacifica invasione di questi grandi insetti in un quartiere – il Villaggio Olimpico – che dopo i fasti dei Giochi del 1960 aveva fatto parlare di sé più per le "lucciole" (tutto l'anno) e per le sue voraci zanzare (d'estate). Oggi, con il suo calendario stagionale e i suoi eventi (i concerti nella cavea d'estate, il Festival del Film in autunno, la pista di pattinaggio sul ghiaccio d'inverno), e grazie anche al bar-ristorante e alla fornita libreria, il Parco della Musica è diventato un polmone culturale che fa respirare la città tutto l'anno.

ponteSe il concorso per dotare Roma di un Auditorium risaliva al 1934, l'idea di realizzare un ponte che collegasse i quartieri Flaminio e Della Vittoria era addirittura contenuta nel piano regolatore del 1909! Un secolo più tardi, quell'idea è diventata realtà, per la gioia di ciclisti e pedoni, visto che il PONTE DELLA MUSICA, inaugurato nel 2011, è interdetto al traffico privato. Il nome sottolinea l'intenzione di farne il terzo tassello – insieme a Maxxi e Auditorium – di questo polo di arte e architettura del quartiere, ma la sua funzione tradisce l'ambizione di farne il punto di snodo di un più vasto percorso culturale: l'abbandono dell'iniziale progetto di una completa pedonalizzazione, e la scelta di rendere possibile il transito di minibus elettrici nelle corsie centrali, sono il primo passo per la realizzazione di una "Linea dei Musei" di trasporto pubblico che colleghi i Musei Vaticani con la Galleria d'Arte Moderna. Ma, a proposito del nome, non si può non ricordare che dal 2013 il ponte porta anche quello di un artista che ha saputo mettere in musica Roma come pochi: il maestro Armando Trovajoli. A lui si devono alcune delle più belle dichiarazioni d'amore per la città eterna: da "Nun je da' retta Roma" a "Ciumachella de Trastevere", fino alla celeberrima "Roma nun fa' la stupida stasera". Tutte cantate in dialetto romanesco, ma capaci di andare ben oltre i confini del Grande Raccordo Anulare. Tanto che "Rugantino" - la commedia musicale di Garinei & Giovannini musicato proprio da Trovajoli, di cui "Roma nun fa' la stupida stasera" è la canzone più nota - è stato il primo musical italiano a conquistare Broadway, con tre settimane di "sold out" nel febbraio del 1964. Allora il protagonista era il grande Nino Manfredi (con Aldo Fabrizi e Ornella Vanoni): nel tempo il suo ruolo è stato poi interpretato da Enrico Montesano, Valerio Mastandrea ed Enrico Brignano, che lo ha riportato a New York a cinquant'anni da quella storica tournée. Non che Trovajoli avesse bisogno di appuntarsi questa medaglia al petto, per essere riconosciuto a livello internazionale: l'uomo che ha scritto "Aggiungi un posto a tavola" e musicato tutti i film di Ettore Scola nella sua carriera di jazzista ha anche diviso il palco con Duke Ellington e Miles Davis, con Louis Armstrong e Django Reinhardt.

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DOVE via Guido Reni, 31
GIORNI DI APERTURA Lunedì - Sabato
ORARIO 7:00 - 14:00
PARCHEGGIO spazi bianchi e blu
AUTOBUS dalla stazione Termini, Linea 910
METRO A (fermata Flaminio)