Mercato di Ponte Milvio
Da alcuni anni i banchi che dal 1982 correvano lungo tutto il viale di Tor di Quinto si sono trasferiti in una sorta di centro commerciale dove al primo piano hanno trovato posto 74 esercizi (alcuni al momento risultano in vendita o disponibili all'affitto) e al secondo piano (dall'ottobre 2011) il supermercato dell'elettronica Trony che ha “requisito” tutti gli spazi che inizialmente erano stati occupati da negozi, un punto di ristoro, una ludoteca.
Tra i banchi del mercato
“Sicuramente il trasferimento ci ha penalizzato e solo chi ha una clientela fissa e affezionata come la mia riesce a sopravvivere”. A parlare è la signora Silvana, classe 1945 fruttivendola e verduraia per tradizione famigliare, che ogni giorno puoi trovare al suo banco intenta alla pulizia dei carciofi e disponibile ad insegnare ricette (“i gambi dei carciofi sono tenerissimi, si può farne una crema per la pasta, i pomodori ripieni al forno... glieli spiego io come si fanno”) e raccontare storie. Del mercato e della sua famiglia. “Mia mamma era trasteverina, poi prese un banco in viale Giulio Cesare che poi divenne il mercato Trionfale e infine arrivò a Piazza Ponte Milvio. Quando io rimasi vedova con tre figli a 27 anni la licenza passò a me”. Accanto al banco di Silvana e della figlia Ornella c'è quello di Anna e suo marito; anche lei ha ereditato il commercio dalla madre e anche lei punta sulla clientela fissa e sull'offerta per non cedere alla crisi.
Il mercato di Ponte Milvio infatti è un mercato ricercato che accanto alla frutta e verdura di stagione (alcuni box sono di coltivatori diretti anche con certificazione biologica) offre prodotti esotici (manghi, avocadi, lime) o rari come i tartufi, preparati solo da mettere in pentola (puntarelle, carciofi puliti, verdure per ribollita, misticanza). Oltre a pescherie con prodotti ittici di ogni tipo, le macellerie che accanto ai tagli di carne tradizionale presentano dei pronti a cuocere veramente sfiziosi; il macellaio Artibani per esempio propone bistecche di manzo danese avvolte nel lardo di Colonnata, arista tirolese arricchita di mele e speck, involtini con radicchio e gorgonzola o dadolata di manzo al lardo di pata negra, tanto per citarne alcuni. Accanto ai banchi di merceria, abiti e scarpe per bambini, borse e calzature per signora, non manca la lavanderia, il calzolaio ed altri servizi che più facilmente si trovano nei centri commerciali che nei mercati. Ci sono banchi con specialità regionali come i prodotti sardi della gastronomia L'erba voglio (ravioli al mirto e ricotta, culurgiones alla menta, sebadas) o quelli pugliesi, dai taralli ai biscotti.
Infine un banco (se così si vuole chiamarlo) da non mancare è la libreria- galleria d'arte di Fabio, d'origine leccese, pittore e appassionato di arte e letteratura. Nel suo box si possono trovare cataloghi d'arte rari, libri usati, romanzi e saggi e qualche opera d'arte; quadri o istallazioni di artisti, suoi amici.
Il paese di Alice
“Quando sono arrivata a Ponte Milvio mi sono detta “ma questo non è un mercato!”. Mamma e papà avevano messo la macchina in un parcheggio sotterraneo e tutto sembrava tranne che un posto per bancarelle. Ho pensato: “mi hanno fregato, mi hanno portato al supermercato che è un posto che odio, si salvano solo i carrelli!”. Invece no, si trattava proprio di un mercato, certo un po' diverso dal solito ma sempre mercato.
Sono stata mezz'ora ad osservare una signora che con i guanti ed uno strano coltello puliva i carciofi e intanto parlava, parlava con la mia mamma. A farle compagnia c'era il suo cagnolino Stella che è molto carino e poi anche la nipotina che ha più o meno la mia età. Ed è ghiotta di uva e di peperone crudo... Non è un gusto che abbiamo in comune.
Prima di andare via mi avevano promesso di portarmi anche un po' in un posto dove ci sono tanti bambini che giocano insieme, mi hanno detto che si chiama ludoteca. Ci sono rimasta malissimo, e anche un po' i miei genitori va detto, perché un grosso supermercato si è preso tutto lo spazio, compreso quello della ludoteca”.
LA RICETTA DI ALICE
Crema di gambi di carciofi
La signora Silvana ci ha dato la ricetta di una crema per sfruttare i gambi se non si vogliono utilizzare insieme alla testa dei carciofi.
Per i gambi procedere come si fa normalmente con i carciofi alla romana quindi: far cuocere a fuoco lento con un intingolo di olio d'oliva, prezzemolo, aglio e mentuccia (se piace) tritati finemente, acqua.
Quando si sono ammorbiditi passarli nel frullatore e utilizzarli come condimento della pastasciutta o da alternare alla besciamella o formaggio nelle lasagne al forno.
Quattro passi più in là
Il mercato prende il nome da uno dei ponti più famosi – e da qualche tempo famigerati – di Roma. La fama di PONTE MILVIO (o ponte Mollo, come era anche noto tra i romani, antichi e non) si deve alla battaglia del 312 d.C. tra Massenzio e Costantino: tradizione vuole che quest'ultimo, alla vigilia dello scontro, ebbe la visione di una Croce che – utilizzata come vessillo alla testa delle truppe - lo guidò fino alla vittoria finale, e lo indusse in seguito a integrare i cristiani nella vita dell'Impero. Segni cristiani adornano tutt'oggi il ponte, come la Quattrocentesca edicola dedicata a S.Andrea che si trova nel piazzale. Altri segni invece lo sfregiavano, e a questi si deve la recente notorietà del ponte: si tratta dei lucchetti che gli innamorati agganciavano ai suoi lampioni, per poi gettare la chiave nel Tevere a testimoniare l'eternità del proprio sentimento. La moda, lanciata da un romanzo di Federico Moccia, è dilagata al punto da sconfinare nella cronaca, quando nell'aprile del 2007 un lampione è crollato. Dopo una lunga battaglia, nel settembre del 2012 si è deciso di rimuovere definitivamente i lucchetti. Neanche il tempo di asportare questa bruttura, che si apriva un nuovo scontro: qualche illuminato amministratore locale ha infatti proposto di esporre i lucchetti in un museo cittadino. Sappiate che, semmai questa proposta verrà accolta, se anche il museo prescelto sorgesse nel cuore di un mercato, questo sito non ve lo segnalerà!!!
Proseguendo lungo il Tevere in direzione del centro, si può scorgere un'immensa scatola di travertino bianco che fa da sfondo agli inviati dei telegiornali ogni qual volta un nostro connazionale viene rapito all'estero: è il PALAZZO DELLA FARNESINA, fulgido esempio dell'architettura razionalista cara a Mussolini, e oggi sede del Museo degli Affari Esteri. Costruito nel 1935 per la nuova sede del Partito Fascista, con i suoi 720mila metri cubi suddivisi in 1.300 stanze contende alla Reggia di Caserta il primato di edificio più grande d'Italia. Forse non tutti sanno che la celebre scultura di Arnaldo Pomodoro – una sfera “gemella” di quelle che si trovano nel giardino del Palazzo delle Nazioni Unite a New York e di fronte al Trinity College di Dublino – non è l'unica opera d'arte dell'edificio: dal 1999 il ministero ospita infatti una ricca esposizione di arte italiana del XX Secolo.
Quattro passi più in là e ci immergiamo in uno dei veri capolavori dell'architettura del ventennio fascista: il complesso del FORO ITALICO. E' il cuore della vita sportiva della capitale: ospita la piscina olimpica e i campi dove ogni anno si disputano gli Internazionali di Tennis, la sede del Comitato Olimpico Nazionale e quella della Facoltà universitaria di Scienze Motorie, ma soprattutto lo stadio Olimpico, teatro delle imprese di Livio Berruti e Wilma Rudolph nei Giochi del 1960, “casa” delle imprese calcistiche di Roma e Lazio, e da qualche tempo anche delle sfide della nazionale di rugby, costretta dal grande affetto popolare e da qualche prestigiosa vittoria a “traslocare” dal più piccolo stadio Flaminio. Ma è su un altro stadio che vorremmo dirottare la vostra attenzione: quello dei marmi, suggestiva arena che sugli spalti ha per sentinelle 64 statue di atleti, ognuna simboleggiante una diversa disciplina sportiva. Se il gusto classicheggiante e retorico delle sculture può anche lasciarvi un po' freddi, una reazione più forte di certo la susciterà la visione dell'obelisco che giganteggia all'inizio del viale che porta allo stadio Olimpico. Lungo i suoi 36 metri di altezza campeggia infatti – intatta nei decenni - la scritta MVSSOLINI DVX. Inevitabile percepire una sorta di corto circuito spazio-temporale, in un mondo dove è ben più frequente veder abbattere i monumenti ai dittatori, piuttosto che metterli in mostra. A voi decidere se la scelta di tenere in piedi questa stele sia segno di maturità o smemoratezza, della voglia di non dimenticare le pagine buie della storia o dell'incapacità di fare i conti con loro.