Mercato Appio I
Da circa trent'anni lo storico mercato Appio I (quartiere Alberone) aspetta una sistemazione definitiva. Ora che pare manchino veramente pochi mesi allo spostamento dei banchi all'interno del Centro Commerciale, nato sulle orme dell'ex deposito tramviario della Stefer, siamo andati a visitarlo per raccogliere i pensieri dei commercianti, le storie di alcuni bancaroli storici (che sono piuttosto incerti sul trasferimento) e poter realizzare un “prima” e un “dopo” come abbiamo fatto per il mercato Testaccio.
Tra i banchi del mercato
Il Centro sarà per metà destinato ai banchi e per metà sarà dedicato a negozi che avranno l'unico vincolo di non essere di natura alimentare, una convivenza che preoccupa molti commercianti.
Tra quelli più incerti sul fatto di trasferirsi al chiuso c'è Achille, coltivatore diretto di 82 anni che con la moglie Silvana 76 anni ha qui il suo banco da più di 50 anni. “Il bello del mercato rionale è stare all'aperto, guardare il commerciante in faccia, contrattare sul prezzo, chiedere lo sconto, farsi raccontare le proprie questioni, se il mercato si sposta dentro ad un supermercato succederà il disastro – dice Achille che porta al mercato i prodotti della sua terra al trentesimo Km della via Salaria, comune di Montelibretti, d'estate a giorni alterni (“uno si coglie e uno si vende”), ma in inverno solo il sabato – Inoltre io ho vari disagi: lo spazio che sarà poco, le spese che saranno alte e soprattutto la difficoltà di scaricare la mattina. Dare indietro questa licenza, che era di mio suocero, mi dispiace ma non ho molte alternative. Nel 1960 mi sono sposato, facevo lo stuccatore ma il padre di mia moglie aveva la terra e la licenza per questo mercato e così nel giro di tre anni sono diventato contadino e commerciante. I miei figli hanno preso altre strade (una è cancelliere al Ministero di Grazia e Giustizia, l'altro è tecnico della Telecom), una nipote se n'è andata a Milano, mi rimane solo il figlio di mio figlio ma ha solo tredici anni. E' difficile che possa aspettare lui”.
E così ad oggi non si sa quanti della settantina di operatori tra fruttivendoli, macellai, pescivendoli, pizzicherie, casalinghi, abbigliamento per adulti e bambini, scarpe, fiori, biancheria si sposterà nel nuovo centro commerciale che stanno costruendo a due passi.
Tra gli altri commercianti storici del mercato c'è Antonietta la cui licenza risale al 1935. “Questa apparteneva alla mia mamma ed è una delle più antiche. Recita ancora “biancheria, chincaglieria, merceria, confezione, bigiotteria e calzetteria”, come si usava una volta. Non mi sono mai mossa da questo banco: mi sono fidanzata, sposata, ho fatto le figlie (una lavora ora qui con me, per l'altra ho preso un banco di articoli da bambino). – racconta Antonietta – mi rimangono ancora delle clienti di mia mamma che mi hanno visto bambina, oggi hanno più di novant'anni e vengono ancora qui a servirsi. Naturalmente vengono anche le figlie e le nuore e spesso pure le badanti”.
Anche la signora Antonietta non si professa ottimista per il futuro del mercato al coperto nella nuova struttura: “A me il mercato al coperto non è mai piaciuto come non mi piace il negozio perché amo il via vai, il contatto con le persone che passano vedono la merce e chiedono. Nel negozio devi andare già pensando a cosa vuoi comprare – dice Antonietta che ricorda come 63 anni fa, quando lei ha iniziato, erano ben 23 banchi solo del suo genere per oltre un centinaio nel complesso – Oggi il mercato è cambiato, forse si è fatto più volgare, ma ancora oggi che la licenza l'ho “volturata” a mia figlia lontano dal mercato non ci posso stare. Se un giorno passate da qui e non mi vedete è perché mia nipote, che deve finire di laurearsi, mi ha chiesto di fare la babysitter alla sua piccolina perché, sapete, sono già bisnonna”.
Il paese di Alice
“Ma voi lo sapete che cosa è un macinacaffé? No perché io, fino a che non sono stata al mercato Appio mica lo sapevo. Quando ci sono andata ho conosciuto una signora con i capelli bianchi, bianchi e una gran chiacchiera, è lei che mi ha spiegato cos'è una macinacaffé... una macchinetta di legno con una manovella, un ingranaggio e un cassetto. Tu ci metti dentro i chicchi di caffé e dopo che hai girato per un bel po' ti ci ritrovi la polvere del caffé. Ma la signora dai capelli bianchi mi ha spiegato che lei invece del caffé ci mette il pepe e che ogni volta che lo usa pensa al suo matrimonio. Che quel macinacaffé, o macinapepe come lo usa lei, le è stato dato come regalo di nozze da un'altra signora che aveva il banco vicino al suo e che, siccome era anziana, le chiedeva sempre di darle una mano a spostare una cassa, a preparare il banco. “Poi quando ti sposi ti faccio un bel regalo”, le diceva. Poi le ha regalato un macinacaffé. Lei all'inizio ci è rimasta un po' male, ma siccome poi il suo matrimonio è durato 52 anni adesso pensa che forse quel macinacaffé le ha portato fortuna”.
IL CONSIGLIO DI ALICE
Lo ammettiamo non sono proprio 4 passi, sono un po’ di più 650 o 700 metri oppure due fermate di bus, ma vi garantiamo che ne vale la pena. A via Mondovì 21 ci stanno alcune delle migliori libraie di Roma. Io e i miei amici ormai ne conosciamo tante e devo dire che sono quasi tutte bravissime ma quelle di Ponte Ponente sono veramente super, con loro non ti annoi mai. Praticamente ogni giorno della settimana e anche nei weekend organizzano un sacco di cose: letture, laboratori, corsi e giochi. Per non parlare dei centri estivi, invernali e persino quando la scuola è chiusa non si sa bene perché. Io al loro centro estivo ci sono stata parecchie volte e con il fatto che la libreria è piccolina ci portano in giro a vedere mostre, musei, parchi, e persino al mercato. Quest’estate ci hanno portato a fare la spesa a quello bellissimo di viale Spartaco, che è al coperto, e quando siamo tornati in libreria abbiamo organizzato il pranzo picnic.
Quattro passi più in là
Per l'amministrazione comunale il quartiere del mercato di via Capponi si chiama Appio Latino, ma per i romani (e non solo per chi chi vive) i banchi si trovano nel cuore dell'ALBERONE. Insieme alla Quercia del Tasso del Gianicolo, è probabilmente l'albero più famoso della capitale. Di certo l'unico che abbia avuto la forza di imporsi fino a dare il nome non solo a una piazza, ma a un intero quartiere. E poco importa se il leccio di otto metri che oggi svetta al centro della piazza non è l'originale Alberone, ma un “giovincello” di 150 anni arrivato dalla pianura pontina chiamato per sostituire il leccio secolare abbattuto da un violento nubifragio lo scorso novembre. In fondo, neanche il suo predecessore era “l'originale”, essendo stato piantato nel 1986, per prendere il posto del capostipite, una quercia ormai incurabilmente malata di termitite. Quel che conta è la storia, le storie che sono germogliate e cresciute intorno a lui, innaffiate dal costante affetto degli abitanti della zona. Perché è intorno a lui che il quartiere ha letteralmente messo radici. E dire che quel colosso all'inizio sembrava quasi un impaccio, cresciuto così in mezzo a via Appia Nuova a fare da involotario spartitraffico. Sotto le sue fronde i tram azzurri della Stefer (sì, proprio l'azienda i cui capannoni abbandonati ospiteranno il nuovo mercato) accompagnavano a Cinecittà le aspiranti stelle del cinema, e portavano ai Castelli i romani passavano le domeniche fuori porta in cerca di aria buona, vino generoso e gustosa porchetta. E ancora oggi che Roma non è più una Hollywood sul Tevere e che per arrivare i Castelli ci si deve incolonnare più o meno pazientemente nel traffico delle automobili, l'Alberone resta lì, simbolo sentinella e obelisco di questo spicchio di città.
Quando nel 1986 fu piantato il “nuovo vecchio” (o “vecchio nuovo”) Alberone, le cronache locali riportarono l'immagine delle molte persone intente a lanciare monetine nel cratere lasciato dala vecchia quercia morente, diventata per un giorno una sorta di Fontana di Trevi cui affidare pensieri di buon augurio. Se anche qualcuno si prendesse la briga di andare a disseppellire quegli spicci, potrebbe farci ben poco: si tratta ormai di monete fuori corso. Le vecchie lire sono state nel frattempo soppiantatate dall'euro. Perché ribadire qui questa clamorosa ovvietà? Perché – pochi romani lo sanno – proprio qui in via Capponi vengono coniati tutti gli euro italiani! Proprio in vista dell'entrata in vigore della moneta unica, nel 1999 è tornato a nuova vita l'edificio al civico 47-49 che ospita L'ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DI STATO. Nei suoi stabilimenti, presse di fabbricazione tedesca coniano, al ritmo di 320 pezzi al minuto, quelle monete che – almeno nel loro design - sono in fondo un vanto italiano: con le 500 lire introdotte nel 1982 grazie a un brevetto della Zecca siamo stati infatti il primo paese al mondo a mettere in circolazione le cosiddette “bimetalliche”, croce dei falsari, con l'anello esterno e il tondino centrale di due leghe diverse. Ma l'attività della sede di via Capponi non si limita al conio delle monete. Uno degli esempi più notevoli lo potete trovare proprio al centro di piazza del Campidoglio: nelle fonderie della Zecca si sono infatti ultimati i lavori per la copia in bronzo del momnumento equestre a Marco Aurelio, con un delicatissimo procedimento di fusione “a cera persa indiretta”, conosciuto e applicato fin dal V secolo avanti Cristo.
La storia, e la toponomastica, sono spesso dotate di crudele ironia. Di solito, dopo la visita al mercato, cerchiamo di segnalarvi sempre uno spazio verde poco distante dove potervi fermare ed eventualmente assaggiare in pace qualche primizia appena acquistata ai banchi. In questo caso, il primo parco pubblico utile per una pausa ristoratrice è VILLA LAZZARONI (tra l'altro anche sede del IX Municipio). Dov'è che la storia ci ha messo il suo beffardo zampino? Beh, è perlomeno curioso che a due passi dalla Zecca di Stato si trovi la tenuta edificata dal direttore della Banca Romana arrestato nel 1893, quando lo scandalo dei 68 milioni di lire stampati senza autorizzazione per finanziare corruzione e affari di ogni sorta fece saltare il governo Giolitti. La parabola di Michele Lazzaroni si consuma in un tempo brevissimo: quello che trascorre dal 1879, quando re Umberto I insignisce del titolo baronale la famiglia di finanzieri, fino al carcere 14 anni dopo. E' in questi 14 anni che villa Lazzaroni viene edificata, ristrutturando una tenuta agricola con il suo casolare, destinato a diventare un palazzo patrizio a suggello della nobiltà appena acquisita. Ora i 50mila metri quadrati di parco sono a disposizione della cittadinanza, dopo aver ospitato negli anni un orfanotrofio, un istituto per suore e anche una chiesa. Ma la villa reca ancora almeno un'impronta del barone/banchiere travolto dagli scandali, ed è una gradevole eredità: mettendo insieme le sue competenze in materia di botanica e la sua ansia di stupire la vecchia aristocrazia romana, Michele Lazzaroni ci ha lasciato un giardino dal gusto paesaggistico eclettico, dove i nobili pini ulivi e mandorli mediterranei convivono felicemente con acacie, araucarie e gingko biloba.
DOVE | via Gino Capponi |
GIORNI DI APERTURA | Lunedì - Sabato |
ORARIO | 6:30-14:00 |
PARCHEGGIO | strisce blu nel quartiere |
AUTOBUS | DAL COLOSSEO, LINEA 673, DA PIAZZA VENEZIA 781 |
METRO | A (fermata Furio Camillo, 300 mt.) |