Mercato Metronio
Il mercato Metronio è da visitare per molte ragioni (le verdure biodinamiche di Marco, i capi vintage di Evette, i fiori di Alessandro), ma sopratutto perché si tratta di un monumento architettonico molto importante per la città e la storia dell'urbanistica del dopoguerra.
Tra i banchi del mercato
Progettato dall'ingegnere Riccardo Morandi e terminato nel 1957, il mercato con annessa autorimessa è, come lo definisce il gruppo di architetti che lo difende dal possibile abbattimento, “una macchina funzionale con le spettacolari rampe elicoidali e la pieghettatura della facciata “. “E' un'opera importantissima che ci hanno anche copiato a Santa Monica e che ha corso il serio rischio di essere abbattuto – ci spiega Alessandro Albanesi, presidente dell'AGS del mercato – Ma noi di sicuro non stiamo a guardare. Nel maggio scorso abbiamo organizzato una “festa di protesta”, come l'abbiamo chiamata noi, a cui hanno partecipato architetti, commercianti, cittadini e persino il figlio di Morandi”. Una festa che insieme ad altre forme di pressione dell'opinione pubblica ha avuto come conseguenza che la delibera che riguardava il mercato Metronio (insieme a quello di via Chiana e a quello di via Antonelli) è stata ritirata. Ma gli operatori rimangono all'erta.
Tra tutti banchi di frutta e ortaggi quello che spicca è il banco di agricoltura biodinamica di Marco. “Quando ho conosciuto la biodinamica sono rimasto affascinato perché fondamentalmente sono i principi dell'agricoltura tradizionale e mi ci sono buttato. Con tutta una serie di difficoltà pratiche che mi ci sono voluti anni a risolvere e che ho potuto in qualche modo ovviare soltanto rinunciando alla grande distribuzione e scegliendo di vendere direttamente i prodotti della mia azienda”. Un'azienda familiare, acquistata dai genitori negli anni Sessanta nella zona di Maccarese, vicino al mare, che ha dovuto diversificare la produzione (al grossista puoi vendere anche solo due articoli, al consumatore no). E così sul banco di Marco, seguendo l'imprescindibile calendario stagionale, si trovano fave, finocchi, insalata, bieta, patate e asparagi in primavera; zucchine, pomodori e melanzane d'estate e così via.
Oltre agli immancabili banchi di frutta e verdura, alle macellerie, ai banchi del pesce, al pane con lievito madre che arriva da Genzano, ai casalinghi di Daniele (una bella esposizione di pentole e caffettiere per tutti i gusti), non si può mancare lo spazio sicuramente più originale del mercato e forse l'”ultimo arrivato”.
Il 9 gennaio 2015, improvvisamente, Marco ci ha lasciati. Era uno degli agricoltori più affabili e cordiali che avessimo avuto modo di incontrare in questi anni. Di Marco ricordiamo i consigli (che hanno ispirato anche una fantasia di Alice) e soprattutto il sorriso. Per questo abbiamo deciso di tenerlo sulla nostra copertina.
Il paese di Alice
"Nel mio libro di favole ce n'è una che parla di Pollicina, una bimba piccola piccola nata dentro un tulipano. Nelle sue tante avventure finisce per fare amicizia con un topo ed un talpone. Il topo è vecchio e gentile e il talpone elegante e miope.
Quando sono stata al mercato Metronio un signore parlava con Marco, il contadino perché aveva un grosso problema: un talpone gli rosicchiava sempre le carote, le patate e i finocchi. Mannaggia! Era disperato. Ha chiesto a Marco come si faceva a cacciare il talpone perché le carote, le patate e i finocchi se li voleva mangiare lui. E Marco gli ha detto che non c'era nulla da fare, che il talpone è un tipo difficile da catturare con tutte le sue gallerie in cui può trovare rifugio. E poi prima di andare via gli ha detto: “ma non è che il talpone fa le gallerie e il topo ci passa e si mangia le carote, le patate e i finocchi?” E così mi sono immaginata il talpone elegante e miope del mio libro che scavava, scavava e quel furbo del topo che gli andava dietro e si mangiava tutte le verdure!”
Quattro passi più in là
Uscendo dal mercato Metronio, bastano quattro passi per tornare all'interno della cinta delle mura Aureliane, e per trovarsi al cospetto della basilica di San Giovanni in Laterano. Ma più che la chiesa, vi invitiamo a considerare la piazza, lampante esempio dell'opera di Sisto V, il papa “urbanista” che in soli cinque anni, tra il il 1590 e il 1595, ha cambiato il volto della città non facendosi scrupoli nello spostare o demolire opere già esistenti, anche prestigiose. Guardate l'obelisco, che con i suoi 32 è il più alto di Roma, oltre che il più antico. Un tempo faceva bella mostra di sé al centro del Circo Massimo, mentre nel cuore della piazza si ergeva la statua equestre di Marco Aurelio. Senza pensarci un attimo, il papa ha fatto traslocare l'imperatore e il suo cavallo in piazza del Campidoglio, per far posto all'obelisco (non senza prima avervi aggiunto una croce alla sommità). Ma la piazza è anche testimone della furia distruttrice di Sisto V, cui si rimprovera di aver fatto radere al suolo il sontuoso Patriarchìo Lateranense, il palazzo che per più di mille anni è stata la sede ufficiale dei pontefici romani. La demolizione non è però arrivata al punto di cancellare uno dei luoghi più venerati dai pellegrini di ogni epoca: la SCALA SANTA. Secondo la tradizione, i suoi 28 gradini in marmo sono quelli del palazzo pretorio di Gerusalemme che tre volte Gesù salì e discese per essere portato al cospetto di Ponzio Pilato. La scala – fatta inviare a Roma nel 326 da Sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino - si sale rigorosamente in ginocchio. In cime ai gradini, la ricompensa è la visione – dietro una grata - di uno dei più misteriosi ritratti esistenti del Cristo: la cosiddetta Immagine Acheropìta, ovvero – dal greco - “non dipinta da mano umana”. La leggenda vuole che il ritratto sia stato commissionato dagli apostoli all'evangelista Luca, ma che a realizzarlo sia stato un angelo, o la mano divina. Ad alimentare ancor oggi la leggenda contribuisce la lastra d'argento che ricopre il corpo di Gesù, e il volto dipinto su seta nel XII secolo a riprodurre (e celare) le fattezze dell'originale. Cosa abbia spinto a nascondere un'opera divina sotto una maschera di seta e argento, è materia per gli amanti del mistero.
I 28 gradini della scala santa non sono l'unico souvenir riportato da Sant'Elena dalla Terra Santa. Anzi, il suo pellegrinaggio sui luoghi del martirio di Gesù Cristo portò a tali e tante scoperte, che la madre dell'imperatore Costantino si può considerare anche la madre della devozione/ossessione per le reliquie. Come risulta evidente a chi varchi la soglia della vicina basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Già, perché questa Indiana Jones della cristianità riportò a Roma dal suo viaggio, oltre a frammenti della Vera Croce, nell'ordine: un chiodo della crocifissione, l'iscrizione INRI posta in cima alla croce, qualche manciata di terra del Calvario, due spine della corona che cingeva il capo di Gesù, la spugna imbevuta di aceto usata da un soldato romano per dissetarlo sul Golgota, la croce del ladrone buono e un dito di San Tommaso, l'apostolo incredulo che fu invitato dal Cristo risorto a toccare con mano il costato trafitto. Il tutto si può ammirare all'interno della chiesa. Agli scettici invece consigliamo invece di cercare, accanto al sagrato, la porta di un vero e proprio paradiso segreto nel cuore della città: l'ORTO MONASTICO di Santa Croce in Gerusalemme. Realizzato a metà del XVI secolo dai monaci cistercensi sui resti dell'anfiteatro dell'imperatore Eliogabalo, dopo un periodo di abbandono l'orto è stato affidato alle cure dell'architetto-paesaggista-giardiniere Paolo Pejrone, che nel 2004 lo ha ripensato sposando il rigore filologico con un forte impatto simbolico: così le coltivazioni seguono le linee curve dell'antico anfiteatro, mentre i vialetti le attraversano disegnando il motivo della croce. Se al mercato non aveste ancora fatto il pieno di spesa, nel piccolo spaccio accanto all'ingresso i monaci vendono i loro prodotti, rigorosamente biologici.
Il complesso di Santa Croce in Gerusalemme comprende anche una serie di musei: quelli storici della Fanteria e dei Granatieri di Sardegna, e il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali. E' in quest'ultimo che vi consigliamo di curiosare. Ospita infatti un'imponente collezione di strumenti dalle più svariate provenienze ed epoche: si va dai corni e i fischietti del VI secolo a.C. al più futurista di tutti, il “ciac-ciac” inventato, realizzato e dipinto dal pittore e scultore Giacomo Balla. Il pezzo forte è forse la seicentesca “Arpa Barberini”, ma vogliamo invitarvi a soffermare la vostra attenzione sull'opera di un artista/artigiano il cui nome è infinitamente meno noto rispetto a quello della sua invenzione: il PIANOFORTE DI BARTOLOMEO CRISTOFORI. Che si sappia, ne esistono solo tre esemplari al mondo firmati dal maestro padovano, l'uomo che con il suo “gravicembalo con il piano e il forte”, poi ribattezzato “fortepiano” e infine rielaborato in pianoforte, ha di fatto cambiato la storia della musica. Quello che vi ritroverete davanti agli occhi risale al 1722, secondo per “antichità” solo al suo fratello maggiore custodito al Metropolitan Museum di New York (datato 1720). La sosta davanti a questo pezzo di storia sarà così anche un omaggio a uno dei tanti - e poco conosciuti - geni italiani.
DOVE | largo Magna Grecia |
GIORNI DI APERTURA | Lunedì - Sabato |
ORARIO | 7:00 - 15:00 |
PARCHEGGIO | a pagamento accanto e sopra al mercato |
AUTOBUS |
dalla stazione Termini, Linea 360 |