Mercato ecosolidale Sant'Egidio
In due hangar su via del Porto Fluviale da quindici anni ogni sabato e domenica pomeriggio si svolge il mercato ecosolidale della Comunità di Sant'Egidio dove un gruppo di volontari raccoglie, smista, sistema e poi vende mobili, abiti, oggetti che le persone donano e il cui ricavato va a finanziare le molte attività della Comunità.
Tra i banchi del mercato
Una parte dell'abbigliamento che arriva viene dirottato direttamente a chi ne ha bisogno (nomadi, carcerati o persone che si trovano in emergenza, come accaduto durante il terremoto dell'Aquila) un'altra parte (la maggiore) viene invece venduto.
E così al mercatino di Sant'Egidio si possono trovare biciclette e tricicli, passeggini e seggioloni, lampade e lampadari, tavoli, sedie, armadi, letti e ancora oggetti per la casa: stoviglie, piatti, bicchieri, strumenti per lo sport dagli sci alle racchette da tennis, ma anche macchine da cucire e da scrivere. C'è veramente di tutto e se da un lato il commento più spontaneo è “probabilmente la metà della roba è nella mia cantina” dall'altra c'è la possibilità di trovare, a poco, qualcosa che può servire.
Discorso a parte è invece il reparto del vintage. “L'idea nasce un paio di anni fa – ci spiega Marco, uno dei cinque volontari che lo gestisce – quando abbiamo pensato di recuperare tutti i capi firmati e datati, che vanno dalla fine dell'Ottocento agli anni Novanta, selezionati tra i vari capi che vengono donati e igienizzati. Abbiamo avuto un ottimo riscontro sia tra i privati che tra i collezionisti senza parlare poi dei costumisti e trovarobe del mondo del cinema e del teatro che vengono da noi in cerca di qualche oggetto di scena o costume”. L'angolo del vintage ha la missione di raccogliere fondi per il progetto Dream, un programma per la cura dell'aids in Africa, si occupa tra l'altro della prevenzione della contrazione dell'hiv nei bambini figli di donne sieropositive.
Con la nascita del settore vintage è nata anche la sartoria, gestita da Annamaria, che si occupa di riparazioni, modifiche ma anche di mettere a modello . Accanto alla sartoria poi è nata la scuola che offre la possibilità a ragazze straniere con poche possibilità economiche di apprendere un mestiere. “La Comunità offre gratuitamente questo corso ad alcune allieve selezionate con il criterio della motivazione – spiega Annamaria – di contro le ragazze offrono la loro manodopera per le riparazioni e i piccoli lavori che ci sono qui in sartoria. E' un dare e avere nello spirito della Comunità. Praticamente nesssuna di loro aveva mai tenuto un ago in mano e dopo poche lezioni sanno già realizzare un orlo e da lì proseguiamo”.
Nelle settimane che precedono il Natale il mercato diventa quasi giornaliero con un'apertura speciale dedicata agli acquisti, mentre nei mesi estivi i ragazzi del Vintage organizzano aperitivi e serate musicali per far conoscere anche al di là dei percorsi della solidarietà la realtà del mercato ecosolidale di Sant'Egidio.
Il paese di Alice
“Una sera i miei genitori mi hanno detto: stasera ti portiamo a far l'aperitivo al mercato ecosolidale. Naturalmente mica ho capito dove mi portavano, ma l'importante era uscire quando stava già per fare buio... uno spasso! Siamo arrivati dentro un grande cortile dove avevano messo tutta una serie di seggiole, divanetti, tavolini, poltrone... troppo buffo sembrava che qualcuno avesse deciso che in casa faceva troppo caldo e avesse spostato il salotto in cortile. Poi mi sono accorta che c'erano anche manichini con abiti addosso, attaccapanni pieni di vestiti e ho capito che ancora una volta mi avevano portato ad un mercato... certo un mercato molto particolare... i vestiti non erano proprio di quelli che vedi tutti i giorni, sembravano usciti da un vecchio film o da una di quelle commedie che fa la zia a teatro. In un angolo poi ho visto anche tantissimi giochi di qualche bambino di tanti anni fa... erano molto diversi dai nostri. Alla fine c'era anche l'aperitivo... ho visto che mamma ha storto un po' il naso quando si è bevuta il suo bicchiere di vino rosso però io mi sono sfondata di popcorn. E alla fine eravamo tutti contenti perché i soldini dell'aperitivo poi sono andati fino in Africa per mamme e bambini con tanti problemi e un sogno... che di fatti il progetto si chiama dream che vuol dire proprio sogno. L'ho studiato al corso d'inglese!”.
Quattro passi più in là
Via del Porto Fluviale è probabilmente l'epicentro di un terremoto artistico che sta cambiando i lineamenti di Roma: la definitiva esplosione della Street Art nella capitale. Nata come forma clandestina di controcultura, è ora entrata nei circuiti ufficiali, tanto da rappresentare una nuova carta da giocare per attirare un nuovo tipo di turismo. O meglio, per attirare i turisti in nuove e meno frequentate porzioni della città. La consacrazione è avvenuta con la recente pubblicazione da parte dell'Assessorato della cultura di Roma della “Mappa della street art”, con tanto di App per orientarsi meglio. E' un'ondata di creatività che sta colorando molte periferie romane, trasformando la città in un museo diffuso a cielo aperto, ma il pezzo più pregiato della collezione è qui, sotto i vostri occhi, appena usciti dal mercato: il MURALE DEL FRONTE DEL PORTO, firmato da Blu, oggi il più quotato street artist italiano nel mondo. Anzi, la vostra prima impressione è che siate voi sotto gli occhi di quest'opera, coloratissima e a tratti inquietante: Blu ha infatti utilizzato le finestre e le feritorie dell'ex caserma dell'Aeronautica per tracciare i lineamenti dei 27 giganteschi volti dipinti sui muri, che scrutano i passanti con orbite vuote. Dietro quelle facciate ci sono i volti e le storie delle decine di famiglie di immigrati che occupano l'ex caserma, e che hanno finanziato l'opera e ospitato l'artista durante i due anni della lavorazione. Se Blu è la punta di diamante del movimento, basta fare pochi passi nell'isolato per avere un campionario del livello raggiunto dalla Street Art italiana. Sempre su via del Porto Fluviale spicca la figura leggera del “Nuotatore”, l'opera di Pellegrino Iacurci che sembra galleggiare sulla sottostante pescheria. Nella parallela via dei Magazzini Generali si fronteggiano la “Wall of fame” di JB Rock (una galleria di ritratti dei personaggi che hanno ispirato l'autore, da Dante Alighieri a Sergio Leone, da Elvis a Papa Wojtyla, da Barack Obama a Jimi Hendrix, da Yuri Gagarin a Zorro) e la “Black and White Power” di Sten & Lex, pionieri degli stencil graffiti nostrani.
Anche le prossime due tappe della nostra passeggiata saranno scandite dai murales. L'asse è quello della via Ostiense, sta a voi fare testa o croce per decidere se proseguire verso sud (in direzione della Basilica di San Paolo, per intenderci) o tornare verso il centro (usando la Piramide Cestia come stella polare). Se decidete di scendere a sud, sappiate che Blu ha in serbo per voi un'altra sorpresa. Esattamente al civico 122, dove c'è la sua firma nel girotondo di automobili incatenate tra loro che incoronano l'ingresso del centro sociale Alexis. Ma poco prima, vi sarete imbattuti in uno dei più suggestivi allestimenti della città: il MUSEO DELLA CENTRALE MONTEMARTINI. E' qui che il marmo delle sculture antiche dialoga con il ferro delle turbine, che Icaro osserva trasognato - e forse invidioso – l'ingegnosa meraviglia dei primi motori Diesel, che i pensieri della musa Polimnia, avvolta nel suo velo, danzano leggeri tra le pesanti caldaie che aiutavano a portare la luce nella Roma del primo '900. Il museo è infatti ospitato nell'ex centrale termoelettrica voluta dall'allora sindaco Nathan nella zona un tempo destinata a polo industriale della città. E tutt'oggi il quartiere Ostiense – tra gazometro, ponte di ferro, mattatoio e mercati generali - porta i segni della sua antica vocazione. La centrale Montemartini è forse il più brillante esempio di come si possa recuperare al meglio un reperto di archeologia industriale e farlo incontrare con quella classica. E pensare che il museo è nato per caso, e per necessità, quando a metà degli anni '90 i lavori di ristrutturazione di alcune sale dei Musei Capitolini costrinsero a traslocare per qualche tempo centinaia di statue e sculture antiche. Si colse l'occasione per sperimentare una mostra temporanea, “Le macchine e gli dèi”: ma l'impatto sul pubblico fu talmente suggestivo che l'allestimento è diventato definitivo, e la sede permantente.
Ripercorrendo la via Ostiense verso nord e puntando alla stazione della metropolitana, si incappa in un altro di quei luoghi magici della città dove i dinosauri di un'estinta civiltà industriale sonnecchiano incuranti del traffico infernale. Del resto, un vero ingorgo non l'hanno mai dovuto affrontare, forti del privilegio di poter scivolare sulle rotaie srotolate lungo corsie fatte apposta per loro. Stiamo parlando del PARCO MUSEO FERROVIARIO di Porta S.Paolo, che ospita – restaurate e conservate con cura e grande affetto – le motrici storiche del trasporto su rotaia capitolino. E la parola “affetto” non suoni esagerata: basta leggere le tratte per avere una mappa topografica e sentimentale di quello che era la vita, e soprattutto il tempo libero, dei romani di qualche generazione fa. Partiamo dal pezzo più antico, il locomotore della Roma-Fiuggi: risale al 1915 e custodisce i pensieri di tutti i viaggiatori che per decenni hanno cercato a sud della capitale i benefici del fresco e delle rinomate acque termali. Puntava verso nord, e verso altre terme, il meraviglioso esemplare di elettromotrice del 1931 della Roma-Viterbo, meglio noto come “trenino della Tuscia”, una tratta ancora in funzione che forse un domani sarà valorizzata anche a scopo turistico, vista la bellezza e la storia dei paesaggi che attraversa. E poi il pezzo forte, meritevole di un capitolo a parte (tanto che a parte ne abbiamo già parlato): il “treno dei sogni”, il tram 404 che portava ai Castelli, e che alla fermata di Cinecittà apriva le porte per far scendere sogni e aspirazioni dei tanti che – dagli anni '40 – speravano di sfondare nel mondo del cinema. Una vettura non a caso “resuscitata” da Fellini nel film “L'intervista”, e che ora offre la magia dei suoi interni in legno ai visitatori che si avventurano nel museo. (n.b. L'interesse di questa vettura non è solo cinematografico, ma anche tecnologico: chiedete al personale di parlarvi della “giostra Urbinati”. Non si tratta di un gioco per bambini, ma dell'invenzione di uno dei tanti ingegni italiani che il mondo ci ha invidiato, e copiato. Se volete tornare bambini, nel museo c'è il bel plastico di una stazione ferroviaria realizzato dal figlio dell'ing. Urbinati). Fiuggi, Viterbo, Castelli Romani: alla nostra rosa dei venti manca un punto cardinale, forse il più amato e frequentato di tutti. E allora il gran finale è dedicato all'ex biglietteria estiva del trenino Roma-Ostia Lido, quello del film “Domenica d'agosto” di Luciano Emmer, e di migliaia di domeniche passate ad accalcarsi e sudare in cambio della ricompensa di qualche ora trascorsa senza pensieri sulla spiaggia dei romani.