Mercato Ostiense
Il mercato coperto del quartiere Ostiense- San Paolo ha una storia antica, prima in strada, poi nella struttura di via Corinto (negli anni Sessanta), poi di nuovo per strada durante un lungo lavoro di ristrutturazione e poi dagli anni Ottanta nuovamente al chiuso. Ci sono commercianti che hanno fatto tutto il percorso: fuori, dentro, fuori e di nuovo dentro.
Tra i banchi del mercato
Come Antonio che con il suo banco di spezie, frutta secca, legumi e semi ha attraversato la storia del mercato. "Chissà se mi faranno cavaliere del lavoro – aveva scherzato la prima volta che lo abbiamo incontrato – Certo una volta era più facile. Ora le persone sono pigre, preferiscono comprare al supermercato una lattina piena di conservanti piuttosto che mettere in ammollo i fagioli un po' di ore prima di cucinarli". Quanta saggezza. Antonio purtroppo oggi non c'è più, il banco lo tengono in vita sua moglie Anastasia che si è messa in società con il bengalese Shaik Shahin aiutato dal figlio. Il banco conserva l'anima colorata che aveva con Antonio (di cui rimangono anche le scritte fatte a mano per ogni prodotto): fichi secchi moscioni del Cilento, mandorle di Sicilia e di Turchia, nocciole di Viterbo, aglio rosso di Sulmona, polenta macinata a pietra, lenticchie di Castelluccio. "In tempi di crisi le persone dovrebbero cogliere le opportunità di risparmiare e mangiare bene. Prenda queste lenticchie, tre etti costano un euro, sono nutrienti e buone e molto, molto economiche" ci diceva.
Tra i tanti banchi di frutta e verdura c'è anche quello della famiglia Bonanni che già abbiamo conosciuto al mercato dell'Esquilino con la loro agricoltura tradizionale che segue i cicli delle stagioni e il corretto momento della maturazione. “Da un po' di anni abbiamo messo nei nostri campi odori diversi, provenienti da altre cucine, da altre culture. Come il coriandolo per esempio. Abbiamo iniziato a coltivarlo per via della nostra clientela multietnica dell'Esquilino e poi anche a cucinarlo noi stessi grazie ai suggerimenti dei dipendenti indiani che lavorano con noi la terra" ci diceva Andrea, che un incidente di sci ha strappato alla sua famiglia. Ora quei dipendenti portano avanti il banco anche in sua memoria.
Sul fronte della carne c'è il macellaio Fabio che con la moglie Marina che ha preso il testimone del padre e si industria nel curare la sua clientela con tanti “pronti a cuocere” sfiziosi: hamburger al tartufo, al radicchio e provola, cordon bleu, spiedini, polpette, saltimbocca oltre a carni bovine, suine, ovine, caprine, pollame e conigli. Un passaggio di testimone che è destinato a finire con la loro generazione. Ma in questo caso non sono i figli a non voler prendere il lavoro dei genitori. “Siamo stati noi – racconta Fabio – a dissuadere nostro figlio da proseguire il mestiere. Lui fa l'autista dell'autobus e noi siamo contenti. E' un lavoro meno faticoso e più sicuro”.
Però c'è anche qualcuno che ha tentato l'azzardo, che ha scelto il mercato contro il supermercato. E' Gianluca: dopo aver lavorato nella grande distribuzione ha scelto di mettersi in proprio e aprire un banco del pesce al mercato. "Io sono anche pescatore, ho la mia barca ad Ostia, la mia licenza non mi permette di vendere quello che pesco, ma la mia passione per il mare mi permette di comprare il pesce con un occhio diverso. La gente al mercato il pesce lo compra volentieri, soprattutto il martedì e il venerdì come da tradizione. Ma noi ci siamo sempre perché c'è anche chi mangia pesce il giovedì". Accanto alla loro pescheria c'è un angolo dedicato al vino sfuso e un nuovo banco dedicato gestito da due amici. Si chiamano Roberto e Alessandro e i loro prodotti, presentati dentro dei bei cesti in vimini, arrivano da Tarquinia.
Il paese di Alice
“Imprigionato in un angolino era rimasto un rosso pesciolino, che per dispetto da casa era scappato, perché la mamma lo aveva un po' sgridato. Così inizia una canzoncina che cantiamo sempre alla mia scuola, a me piace molto e piace molto anche alla mia mamma. Mi è venuta in mente il giorno che sono stata con lei al mercato Ostiense. E' una storiella buffa con una melodia carina, e so che ce l'hanno insegnata le maestre per farci capire che non è il caso di scappare di casa quando mamma e papà ci sgridano. Perché la canzoncina prosegue così: Frigge l'olio già nel pentolino, il pescatore afferra il pesciolino: Sei troppo piccolo, c'è poco da mangiare lo guarda bene e lo ributta in mare. Splash!
Insomma al pesciolino è andata bene, ma non è detto che vada sempre così. Quando sono stata al mercato Ostiense mia mamma ha chiacchierato tanto con un signore che vende il pesce e, il sabato e la domenica, lo pesca pure. E parlavano proprio di questo: dei pesciolini piccoli e di quelli grandi, del mare e del mercato. Io non ho capito tutto però una cosa l'ho capita: se divento pescatrice e pesco un pesciolino piccolino di sicuro lo ributto in mare. Splash!”
Quattro passi più in là
Se il mercato di via Corinto ha vissuto la sua vita facendo avanti e indietro, fuori e dentro le quattro mura di una struttura coperta, il simbolo del quartiere è sempre stato, fin dalla nascita, “fuori le mura”. E' la BASILICA DI S.PAOLO, una delle quattro basiliche papali di Roma, la più grande dopo S.Pietro. Le mura, naturalmente, sono quelle Aureliane. L'aspetto relativamente moderno non deve ingannare: si deve all'opera di radicale ricostruzione resa necessaria dopo il devastante incendio del 1823, ma la chiesa è stata costruita sotto l'imperatore Costantino nel IV secolo in un luogo già da duecento anni meta di pellegrinaggio: è qui che infatti sarebbe stato sepolto l'apostolo Paolo, lungo la via Ostiense, in una necropoli a due miglia di distanza dal luogo del suo martirio. Il sarcofago del Santo si trova tuttora sotto l'altare, e dal punto di vista religioso è senz'altro l'elemento più importante della Basilica. Dal punto di vista artistico sono molte le suggestioni, ma il “pezzo” più pregiato è probabilmente il ciborio realizzato nel 1285 da Arnolfo di Cambio e miracolosamente sopravvissuto all'incendio del 1823. Ma lo sguardo del visitatore resterà inevitabilmente attratto da un'altra opera, destinata ad essere aggiornata fino alla fine dei tempi: è la serie dei ritratti di tutti i Papi della chiesa, da S.Pietro ai giorni nostri, immortalati in tondi a mosaico su sfondo oro che costellano le navate della Basilica. Viene spontaneo domandarsi dove saranno collocati i nuovi ritratti, quando lo spazio a disposizione sarà terminato: se lo chiedeste a qualche romanziere amante di intrighi e profezie, sarebbe forse tentato di rispondervi che è proprio quel momento il segnale della fine del mondo.
Una capitolo a parte, nella storia della Basilica di S.Paolo, lo meriterebbe il trasporto delle 146 colonne di granito estratte in una cava presso il Lago Maggiore e recapitate nel santuario dell'apostolo dopo un viaggio di oltre 2mila chilometri a filo d'acqua – circumnavigando l'Italia - partito dal fiume Toce e giunto fino al Tevere, passando per il Ticino, i Navigli milanesi e il Po, e i mari Adriatico, Ionio e Tirreno. Un viaggio che – almeno nelle sue ultime tappe – richiama alla memoria quello affrontato nel 357 dall'imponente obelisco egizio del XV secolo a.C. che oggi domina la piazza di un'altra basilica, S.Giovanni in Laterano. Il porto di attracco di quello che da allora è il più alto obelisco di Roma, era al tempo conosciuto come VICUS ALEXANDRI, e ancora oggi – con un po' di fortuna e molta immaginazione - se ne possono intravedere i resti, quando il Tevere non è in piena. Appostandosi sul lungofiume tra il quartiere San Paolo e la Magliana, si riconosce una fila di grandi blocchi di tufo chiaro: è lo scheletro della banchina dove, dall'età repubblicana, erano costrette ad attraccare le imbarcazioni troppo voluminose per raggiungere gli approdi più centrali di Ripa Grande e Testaccio e di Ripetta.
Se il Vicus Alexandri è caduto in disuso dal Medioevo, il quartiere San Paolo ha però mantenuto una vocazione “marinara” fino al XX secolo. Proprio qui, circa a metà strada tra l'attuale mercato di via Corinto e l'antico porto romano, nel 1928 Mussolini volle costruire la seconda VASCA NAVALE italiana, imponente struttura destinata alla sperimentazione e al collaudo di scafi ed eliche della Marina italiana. I capannoni dove venivano effettuate le prove in acqua, abbandonati nel 1974, sono ora oggetto di una ristrutturazione a cura dell'Università di Roma Tre, che punta a dare nuova vita a questo interessante esempio di archeologia industriale. Ma l'Istituto che si occupa degli esperimenti navali è vivo e vegeto, si trova qualche chilometro più a sud (tra la Pontina e la Laurentina) e ha testato – tra le altre - le imbarcazioni italiane che hanno fatto sognare gli sportivi italiani nelle notti di America's Cup: Azzurra, Il Moro di Venezia e Luna Rossa.
DOVE |
via Corinto |
GIORNI DI APERTURA | Lunedì - Sabato |
ORARIO | 6:00 - 14:00 (Martedì e venerdì fino alle 19) |
PARCHEGGIO |
lungo via corinto |
metro |
B (fermata San Paolo) |